SCACCHIERA E BANG

PARTE SETTIMA


LA MOSTRA DEL DECOSTRUTTIVISMO A NEW YORK

Nel 1988, al MoMA di New York, viene inaugurata la mostra Deconstructivist Architecture, ideata da Philip Johnson e curata da Mark Wigley, che presenta sette architetti innovatori: Peter Eisenman, Zaha Hadid, Frank Gehry, Coop Himmelb(l)au, Bernard Tschumi, Daniel Libeskind e Rem Koolhaas, ciascuno dei quali sfida il linguaggio classico dell'architettura attraverso un'estetica frammentata e anticonvenzionale. Mentre alcuni degli espositori avevano studiato a fondo il Costruttivismo russo, come Hadid e Koolhaas, altri, come Eisenman, collaboravano con il filosofo Jacques Derrida, teorico della decostruzione. Questa esposizione rappresenta un punto di svolta per l’architettura, combinando filosofia e arte con il concetto di "decostruzione," ispirato dal pensiero del filosofo francese Jacques Derrida. La decostruzione, lontana dai principi razionali del Costruttivismo russo, cerca di destabilizzare le forme convenzionali e svelare nuove interpretazioni dei testi e degli oggetti architettonici. Con questo approccio, gli elementi tradizionali vengono rielaborati in modo provocatorio, portando a un’estetica “anti-classica” che gioca con materiali e forme.

L'idea di decostruzione si allontana dal Costruttivismo e dal Post-modernismo, non cercando solo un cambiamento estetico ma una destabilizzazione dei principi. La decostruzione, che permette di reinterpretare testi e oggetti secondo nuove prospettive, come nell’architettura di Gehry a Santa Monica, stravolge i canoni dell’architettura americana con materiali poveri e composizioni informali, rinnovando il significato del fronte e del retro delle case in un’esplosione di materiali e forme contrastanti. Questa nuova visione architettonica, quindi, rielabora il passato senza cancellarlo, attribuendo significati nuovi e destabilizzanti ai simboli architettonici tradizionali.

La mostra ha un impatto globale e viene accolta come una risposta al Post-modernismo ormai in declino; viene quindi percepita come il possibile inizio di un nuovo “ismo”. La sua influenza è forte: i media abbracciano il decostruttivismo, e architetti come Gehry e Koolhaas, che studiarono il Costruttivismo russo, mescolano nuovi riferimenti con l’architettura radicale. Tra gli anni Ottanta e Novanta, il decostruttivismo si diffonde e avvia creazioni architettoniche rilevanti in tutto il mondo.

UN MONDO APERTO

In questo stesso periodo, il mondo è attraversato da cambiamenti politici importanti. In Europa, il papa polacco Karol Wojtyła sostiene l'emancipazione dei paesi dell'Est dal comunismo, in particolare in Polonia. Nel 1985, in Russia, Michail Gorbaciov diventa presidente e avvia le riforme della Glasnost (trasparenza) e della Perestroika (ristrutturazione), introducendo elementi di economia di mercato in un sistema sovietico rigidamente centralizzato. Questi processi però sfuggono al controllo e il blocco sovietico inizia a crollare, culminando nella caduta del muro di Berlino nel 1989, evento simbolico che segna la fine del Novecento, definito “secolo breve” dallo storico Eric Hobsbawm. Il crollo dell’Unione Sovietica nel 1991 apre una nuova era globale di libertà economica e culturale, creando un ambiente fertile per la diffusione internazionale di idee come il decostruttivismo.

IL LAVORO DI DANIEL LIBESKIND

Daniel Libeskind è un architetto che combina cultura, storia e discipline diverse. La sua formazione musicale e artistica, unita agli studi in storia e filosofia, lo rende un architetto unico, capace di creare opere che esprimono drammaticità e tensione. Il suo capolavoro, il Museo Ebraico di Berlino, usa forme spezzate e linee oblique per rappresentare la storia tormentata del popolo ebraico. L’edificio è concepito come una "freccia" che zigzaga sul terreno, creando spazi labirintici e intensi giochi di luce, invitando i visitatori a immergersi in un percorso complesso e simbolico.

Negli anni Ottanta, Libeskind realizza opere astratte ispirate alla musica e a Leonardo, creando disegni e "macchine" che sfidano il concetto tradizionale di spazio e linearità. A Berlino, con progetti come il City Edge, esplora la sovrapposizione di strati e la frammentazione. Negli anni 90, mentre l’architettura evolve verso la comunicazione, Libeskind e altri, come Steven Holl con il Kiasma, dimostrano come gli edifici possano "informare" e competere per attrarre le persone in un’epoca dove il valore dell’informazione supera quello dei beni materiali.

IL MUSEO KIASMA DI HOLL

Il Museo Kiasma di Steven Holl a Helsinki è un esempio paradigmatico dell'architettura degli anni Novanta, caratterizzata da una comunicazione intensa con il contesto urbano e da un uso sofisticato di metafore. Holl, dopo una lunga gavetta, propone un linguaggio architettonico ispirato alle teorie di Henri Bergson e basato su esperienze dirette: il suo approccio non è solo visivo ma multisensoriale, volto a “sentire” la luce, i materiali e i flussi di un edificio.

La realizzazione del Kiasma rappresenta il culmine del percorso di Holl. Vincitore di un concorso internazionale nel 1993, il museo sorge in una zona strategica di Helsinki, incastonata tra il Parlamento, la stazione ferroviaria di Eliel Saarinen e la Casa Finlandia di Alvar Aalto, contribuendo a completare un disegno urbano lungo le sponde del lago Kamppi. L’edificio, formato da due volumi che si intersecano, usa la metafora del "chiasma" – un incrocio concettuale e strutturale che riprende il significato retorico dell’immagine dei nervi ottici che si incrociano. Questa struttura si riflette nell’organizzazione degli spazi, dei flussi e nella capacità del museo di collegarsi dinamicamente con la città.

Il Kiasma è costruito con una galleria curva che sembra abbracciare il corpo rettilineo del museo, e il dialogo con la città è rafforzato dall’integrazione di specchi d’acqua, spazi verdi e percorsi pedonali. Le superfici esterne alternano vetro, pannelli di alluminio e zinco, creando un equilibrio visivo tra dinamicità e leggerezza. Quest’opera, come l’ala ebraica del Museo di Berlino di Libeskind, esprime una nuova sensibilità urbana in cui simboli e immagini si fondono con il tessuto cittadino, rappresentando un nuovo modello di città informata e plurifunzionale, al di là del rigido zoning del passato.

Il nome "Kiasma," usato come motto da Holl nel concorso e poi adottato per il museo, incarna il suo approccio a un'architettura metaforica, comunicativa e radicata nella realtà urbana.

POTSDAMER PLATZ

Il progetto di Renzo Piano per Potsdamer Platz a Berlino rappresenta una delle realizzazioni più emblematiche del concetto di "mixité" urbana, dove la combinazione e l’integrazione di diverse funzioni crea un nuovo modello di città post-industriale, adatto alla società dell'informazione. Berlino, alla fine della Guerra Fredda e dopo la caduta del Muro, si trova in una fase di ricostruzione e di rigenerazione di aree abbandonate, come la stessa Potsdamer Platz, un tempo un trafficato snodo urbano e, durante la divisione della città, lasciata in gran parte in rovina.

Nel 1992, Piano e il suo studio RPBW (Renzo Piano Building Workshop) vincono il concorso per la rigenerazione di questa vasta area urbana. Il progetto si basa su una visione innovativa, integrando diverse funzioni residenziali, direzionali, commerciali e culturali in un contesto urbano compatto e interconnesso. L'idea di mixité si traduce non solo nella sovrapposizione di funzioni, ma anche in un progetto aperto, che coinvolge altri grandi architetti internazionali (Isozaki, Rogers, Moneo) per conferire una maggiore ricchezza e varietà architettonica all'area.

Potsdamer Platz si distingue per l'armoniosa combinazione di spazi pubblici e privati, inclusa la piazza Marlene Dietrich, disegnata dallo stesso Piano, che diventa un fulcro d'incontro e di interazione sociale. Qui, come nelle altre aree, si nota l'approccio "anti-zoning" promosso da Piano, dove le separazioni tradizionali tra zone residenziali, lavorative e di svago sono superate in favore di un continuo funzionale e visivo. Il risultato è uno spazio urbano che si sviluppa organicamente, con flussi di persone, di informazioni e di attività che si intrecciano continuamente, dando forma a un paesaggio urbano dinamico e vivo.

Inaugurato nel 1998, il progetto di Potsdamer Platz ha offerto a Berlino e al mondo un modello di rigenerazione urbana basato sulla mixité, influenzando numerose altre città. Grazie alla sua attenzione alla varietà funzionale e all'integrazione naturale, l'opera di Piano incarna un nuovo paradigma urbano adatto alla contemporaneità, dove l'informazione, la cultura e la tecnologia possono convivere e prosperare in un ambiente comune, fondendo pubblico e privato in un contesto aperto e innovativo.

PARIGI E BARCELLONA

Negli anni Ottanta e Novanta, Parigi e Barcellona emergono come modelli di rigenerazione urbana e di affermazione culturale. Parigi, attraverso i Grands Projets, intraprende una trasformazione culturale e architettonica che coinvolge edifici iconici come l'Arco della Défense di Von Spreckelsen e la Piramide del Louvre di I.M. Pei, oltre a progetti come il parco della Villette di Tschumi e la Biblioteca Nazionale di Perrault. Questi progetti, anche se diversi per stili, mirano a consolidare Parigi come centro di innovazione e cultura.

A Barcellona, la trasformazione urbana è guidata dal sindaco Josep Martorell e dall'urbanista Oriol Bohigas, in preparazione delle Olimpiadi del 1992. Bohigas progetta interventi di grande respiro, come il recupero del lungomare e la creazione di spazi verdi lungo l’autostrada che circonda la città. L’approccio di Barcellona integra interventi monumentali come l’Acquario e il Museo di Arte Contemporanea con piccoli spazi pubblici, piazzette e giardini, migliorando la qualità della vita urbana e creando nuovi spazi di interazione sociale.

In questo clima si inseriscono anche architetti emergenti come Enric Miralles e Carme Pinós, il cui lavoro si distingue per un approccio scultoreo e poetico all'architettura. La loro opera è caratterizzata da una ricerca espressiva che rompe con la tradizione locale, ispirata anche dalle nuove idee sull'architettura come metafora del paesaggio, lanciate da figure come Zaha Hadid. Il loro primo progetto rilevante è il municipio di Hostalets de Balenyà (1986-1992), dove i volumi dell’edificio si incastrano secondo direttrici che sfruttano la luce naturale.

Miralles e Pinós proseguono questa ricerca nel Centro di Tiro dell'Arco per le Olimpiadi del 1992, dove l'orientamento degli edifici richiama il movimento della freccia verso il bersaglio. Le forme sinuose e i giochi volumetrici danno all'opera un carattere unico. Un’altra opera emblematica è il pergolato in Avenida Icaria, concepito come una “foresta artificiale” in acciaio che funge da scultura urbana e richiama le celebrazioni tradizionali spagnole. Questo progetto, con le sue forme libere e scultoree, rappresenta una novità dirompente nell’ambiente ordinato del villaggio olimpico, segnando la presenza di una nuova generazione di architetti.

Il progetto che più rappresenta la visione di Miralles e Pinós è il Cimitero di Igualada, completato tra il 1991 e il 1995. Il cimitero è un percorso da una sequenza di eventi simbolici: i muri inclinati, le strutture in pietra e ferro, e le sculture che emergono lungo il cammino. Quest'opera, progettata per integrarsi con il paesaggio e destinata a trasformarsi sotto l’azione del tempo, riflette il pensiero poetico e la sensibilità dei due architetti verso l'ambiente. La morte prematura di Miralles darà a questo progetto un valore simbolico particolare, consacrandolo come uno degli architetti spagnoli più influenti della sua generazione.

BIOSPHERE 2 E IL TEMA ECOLOGICO

Negli anni Novanta, il crescente interesse per l’ecologia porta l’architettura a riflettere sui temi dell’integrazione con il paesaggio e dell’impatto ambientale. 

Il progetto Biosphere 2, completato nel 1991 a Oracle, in Arizona, rappresenta un esperimento pionieristico e straordinario. Ideato da John Allen, geologo, con il supporto del finanziatore Edward Bass, dell'architetto Margaret Augustine e dell'ingegnere William Dempster, Biosphere 2 è un ambiente autosufficiente che mira a replicare i processi ecologici della biosfera terrestre. Allen immagina un habitat autonomo e autosostenibile e autosufficiente, in cui diversi biomi — dalla foresta pluviale alla barriera corallina e all’ecosistema mediterraneo — coesistono in equilibrio.

Questa struttura di oltre un ettaro, interamente coperta da grandi superfici vetrate, contiene sette biomi distinti e un sistema chiuso che permette un riciclo quasi completo di acqua, aria e rifiuti. L’esperimento originale, condotto da un gruppo di otto scienziati che hanno vissuto per due anni in isolamento dentro la struttura, ha dimostrato l’efficacia del sistema: il ciclo dell’acqua, del cibo e dei materiali biologici era quasi totalmente autosufficiente. Durante questo periodo, Biosphere 2 è stato in grado di generare autonomamente cibo e mantenere livelli di qualità dell’aria ottimali.

Biosphere 2 dimostra la possibilità di un’architettura che non solo imita la natura, ma opera anche come sistema autosufficiente. Questa visione, che guarda oltre la semplice sostenibilità verso una totale autonomia ecologica, rappresenta una direzione innovativa per l’architettura, offrendo nuove prospettive per costruire habitat umani sostenibili, anche in ambienti estremi come lo spazio.

NUOVE SCOPERTE

SANTIAGO CALATRAVA

Negli ultimi anni, Santiago Calatrava ha rappresentato una figura chiave nell’innovazione dell’ingegneria e dell’architettura, introducendo un approccio profondamente artistico nella progettazione strutturale. Nato a Valencia nel 1951, Calatrava ha mostrato fin da giovane un forte interesse per l’arte e la scultura, studiando inizialmente a Valencia e poi a Zurigo, dove si specializza in ingegneria civile. Dopo la laurea e il dottorato, fonda uno studio a Zurigo e, a soli 33 anni, vince il concorso per la Stazione di Stadelhofen, progetto che lo lancia a livello internazionale.

La particolarità del lavoro di Calatrava è nella fusione tra ingegneria e scultura, non vista come tecnica razionale, ma come strumento artistico per creare forme. Mentre l’ingegneria tradizionale tende a esaltare la razionalità, Calatrava usa il calcolo come mezzo per esplorare nuove possibilità estetiche, con un approccio che non esclude alcuna soluzione se questa è tecnicamente possibile: "L’ingegneria è l’arte del possibile".

La Stazione di Stadelhofen è rappresentativa del suo metodo di progettazione. Qui, Calatrava lavora per sovrapposizione, duplicando una “sezione tipo” lungo la struttura, adattandola all’andamento del terreno e creando una progressiva trasformazione delle coperture che si adeguano alla linea dei binari. È un edificio che risolve contemporaneamente aspetti estetici e funzionali.

IL MOVIMENTO

Uno degli aspetti più innovativi dell’opera di Calatrava è l’integrazione del movimento nelle strutture architettoniche. Nelle sue creazioni, come il ponte sul Garonna e il padiglione svizzero per l’Expo di Siviglia del 1992, Calatrava esplora la possibilità del movimento. Le sue opere, come le porte pieghevoli dei magazzini Ernsting, introducono effetti di tridimensionalità dinamica, dove gli elementi si muovono come ciglia. Anche il padiglione Swissbau a Basilea è concepito come una macchina semovente, con strutture che si muovono per effetto di dischi rotanti collegati a costole metalliche, evidenziando la sua passione per la scultura e l’ispirazione alle strutture organiche e vegetali.

REM KOOLHAS

Parallelamente, Rem Koolhaas emerge come un architetto dalla formazione eclettica e inter-disciplinare, che mescola arte, cinema e giornalismo con l’architettura. Negli anni ‘70, pubblica Delirious New York, un’opera fondamentale in cui analizza la metropoli come realtà autonoma, priva di ideologia, influenzata dalle forze economiche e culturali in continua evoluzione. Con il suo studio, l’OMA, Koolhaas propone una visione architettonica dove le città non sono regolate da una tipologia rigida, ma da un insieme di forze additive.

Il suo volume S, M, L, XL, pubblicato nel 1995, riprende questi principi, proponendo un metodo di progettazione applicabile su scala diversa. Un esempio chiave del suo lavoro è la Casa dell’Ava a Parigi, dove applica principi di frammentazione e modularità, utilizzati anche per il progetto Eurolille. Con la Casa Floriac a Bordeaux, Koolhaas introduce un’innovazione notevole: per adattarsi alle esigenze del cliente, la casa è dotata di un pavimento che si solleva e si abbassa grazie a un pistone idraulico, collegando i piani dell’abitazione senza l’uso di rampe.

SPAZI NUOVI

Tschumi, noto per il suo contributo al movimento decostruttivista, realizza il Centro Le Fresnoy nella città di Tourcoing, in Francia, un complesso progettato per ospitare scuole d’avanguardia e spazi multimediali. Il progetto si distingue per come sfrutta l’interazione tra le strutture industriali esistenti e una nuova copertura metallica. Questa sovrastruttura riunisce sotto un unico “manto” gli edifici preesistenti, creando uno spazio intermedio, o in-between, ricco di prospettive, passaggi e ambienti multifunzionali, con un forte richiamo all’arte, alla filosofia e al cinema. Tschumi sfrutta qui la sezione, piuttosto che la pianta, per esplorare le potenzialità spaziali del progetto. Questo approccio valorizza gli spazi interstiziali, come nel caso dei tetti rafforzati dove il pubblico può assistere agli eventi, e crea un ambiente che unisce passato e presente: l’eredità industriale e l’innovazione tecnologica. Il Centro Le Fresnoy incarna così il dialogo tra vecchio e nuovo, tra interno ed esterno.

PROCESSI DI PROGETTAZIONE IN PETER EISENMANN

BLURRING

Parallelamente, Peter Eisenman introduce una tecnica radicalmente nuova per rappresentare il movimento in architettura: il “Blurring” o “sfocatura”. Questo concetto trae ispirazione dal dinamismo del Futurismo italiano, come nelle opere di Giacomo Balla e Marcel Duchamp. Eisenman riprende l’effetto visivo della sovrapposizione di figure in movimento per creare un’architettura che suggerisce una continuità dinamica, come in un fermo immagine in cui i movimenti si fondono. Nel suo progetto per la Casa Guardiola in Spagna, Eisenman realizza un’opera complessa, dove ogni componente si sovrappone e interagisce, creando geometrie che sembrano vibrare e oscillare. Gli spazi nascono da operazioni di incastro, sottrazione e intersezione, come se fossero tracce effimere sulla sabbia, destinate a essere cancellate e riscritte dal movimento.

CAVI AUDACI PER INSEGNARE

Negli Stati Uniti, il progetto di un edificio per una Facoltà di architettura rappresenta un tema ricorrente, affrontato da molti architetti iconici, da Thomas Jefferson agli anni del Brutalismo e oltre. Tra questi si inserisce il College of Design Architecture and Planning dell’Università di Cincinnati di Peter Eisenman, completato nel 1991, che offre un approccio partecipativo unico per il contesto accademico, coinvolgendo studenti, professori, amministratori e collaboratori.

Il progetto risponde all’esigenza di riorganizzare gli spazi della facoltà esistente, raddoppiando l’area utile con nuove strutture. L’edificio originario, organizzato a zig-zag, è affiancato da una struttura ondulata che ospita le nuove funzioni. Il tocco innovativo, però, consiste nell’applicare la tecnica del “Blurring” sia al vecchio fabbricato sia al nuovo. Eisenman crea così un doppio moto ondulatorio, dove l’edificio esistente mantiene geometrie più nette, mentre la nuova struttura assume forme fluide. Questo gioco di incastri e intersezioni genera spazi dinamici, in cui volumi e geometrie si fondono in un dialogo continuo. La configurazione di spazi interni complessi e luminosi, caratterizzati da cavi vibranti e inclinati, rappresenta un’interpretazione moderna e funzionale dell’insegnamento dell’architettura, arricchita dalla luce che permea dall’alto e dai lati. L’edificio è un esempio di come un progetto architettonico possa materializzare la complessità e la forza del pensiero architettonico contemporaneo.

REBSTOCK PARK

Nello stesso periodo, Eisenman realizza un progetto urbano per Rebstock Park a Francoforte, che vince il concorso per il quartiere residenziale. Qui l’architetto applica una combinazione di tecniche innovative. Rebstock Park è progettato come un tessuto urbano compatto, un “continuum” in cui spazi, edifici e strade interagiscono armoniosamente. Questo concetto di tessuto si ispira alle esperienze di sviluppo urbano e alla griglia, ma Eisenman le reinterpreta introducendo tre tracciati distinti: uno a maglia larga basato sul sistema di Mercatore, uno fitto per le aree limitrofe, e uno mistilineo per seguire i confini dell’area.

I tre tracciati si sovrappongono, creando una tensione che deforma e piega le linee, sostituendo la ripetitività con un’organizzazione ondulata e continua. Le strade si snodano seguendo l’inclinazione del terreno, mentre gli edifici si conformano alla rete dei percorsi. Questo approccio produce uno spazio urbano strutturato e funzionale, che combina diverse influenze teoriche e pratiche, mantenendo un alto livello di fattibilità. Eisenman dimostra così come la cultura architettonica possa elevare un progetto urbanistico al di là delle soluzioni convenzionali, integrando il funzionalismo degli anni Venti e la flessibilità contemporanea in un progetto che risponde alle esigenze della città e dei suoi abitanti.

SPAZIO SISTEMA IN FRANK GERHY

L’approccio progettuale di Frank Gehry combina teatro e movimento, trasformando gli spazi architettonici in scenari dinamici dove i volumi sembrano "parlare" e "danzare" anche in assenza di persone.

Tra le innovazioni più rilevanti di Gehry vi è l’idea di incorporare traiettorie e linee dinamiche nelle forme architettoniche. Ispirato dalle opere futuriste di Boccioni, abbandona la rigidità della linea retta per un gioco di curve e archi, creando "traiettorie" che conferiscono movimento ai volumi. Il Museo Vitra in Germania, con le sue forme che si scontrano e si fondono, è un esempio di come Gehry utilizzi lo spazio non solo per avvolgere i volumi, ma anche per lanciare linee di forza verso l’esterno.


Il progetto dell’Auditorium Disney a Los Angeles esprime ulteriormente questa poetica. Situato nel cuore culturale di Bunker Hill, l’auditorium è pensato come una struttura organica e fluida, i cui spazi accessori servono anche a scopi indipendenti dalla sala concerti. Qui, Gehry esplora l’idea di "spazi serviti e serventi", in cui i volumi principali sono circondati da spazi accessori che, pur avendo una funzione di supporto, aggiungono complessità e flessibilità al progetto.

Il Guggenheim Museum di Bilbao rappresenta la massima espressione di Gehry. La struttura, progettata per una zona degradata lungo il fiume Nervión, simboleggia un “urbanscape” moderno e dinamico. L’edificio, con le sue curve e forme slanciate, diventa una "cattedrale" contemporanea, capace di catalizzare il rinnovamento urbano e trasformarsi in icona sociale e culturale. Utilizzando una struttura in acciaio razionale ed economica, Gehry mostra come la modernità possa fondersi con funzionalità museale e simbolismo urbano.

Il concetto di "spazio sistema" è una novità rispetto al tradizionale "spazio organo", usato in gran parte dell'architettura del Novecento. Mentre lo spazio organo organizza gli spazi in base alla loro funzione (come nel Guggenheim di New York di Frank Lloyd Wright, che si sviluppa attorno a una rampa per guidare i visitatori), lo spazio sistema, come nel Guggenheim di Bilbao, considera vari fattori che interagiscono tra loro senza una gerarchia fissa.

In uno spazio sistema, gli elementi (come la relazione con l'ambiente, la costruzione, la funzionalità) non dipendono l’uno dall’altro, ma funzionano come parti indipendenti che si influenzano reciprocamente in un ciclo continuo. Questo permette maggiore libertà creativa, rispetto alla rigidità funzionale dello spazio organo.

Questo approccio rompe con la tradizione industriale e somiglia al funzionamento di una rete, dove i vari nodi interagiscono in modo complesso. La libertà offerta dallo spazio sistema è rivoluzionaria, ma può risultare difficile da comprendere e persino angosciante, come succede quando ci si apre a nuove possibilità. Questo cambiamento riflette l'influenza crescente delle tecnologie informatiche sull’architettura, liberando la disciplina dalle convenzioni predefinite e dalla produzione di massa.


COMMENTO

La mostra sul decostruttivismo al MoMA di New York, curata da Philip Johnson e Mark Wigley nel 1988, segna un punto di svolta per l'architettura. Espone il lavoro di architetti come Frank Gehry e Zaha Hadid, che rompono con le forme tradizionali e razionali, sperimentando frammentazione e forme anticonvenzionali ispirate alla filosofia della "decostruzione" di Jacques Derrida. La mostra segna la fine del Post-modernismo e l'inizio di un nuovo stile radicale, che non si limita all'estetica ma reinterpreta simboli architettonici tradizionali in chiave innovativa e destabilizzante.

La contemporanea apertura politica dell'Europa, con la caduta del Muro di Berlino crea un terreno fertile per l’affermazione di nuove idee come il decostruttivismo. Daniel Libeskind, con il Museo Ebraico di Berlino, incarna questo nuovo approccio, realizzando spazi che evocano emozioni e raccontano storie complesse attraverso forme spezzate e labirintiche.

Allo stesso tempo, progetti come il Kiasma di Steven Holl e Potsdamer Platz di Renzo Piano guardano a una visione urbana aperta e connessa, che supera le rigide divisioni funzionali del passato, in una città "informata," in cui flussi di persone e attività si intrecciano in uno spazio integrato e vitale.

Il testo rappresenta l'evoluzione dell'architettura e dell'urbanistica dagli anni Ottanta in poi, mostrando come le città e gli architetti abbiano risposto alle sfide di quegli anni. I casi di Parigi e Barcellona illustrano due visioni di rigenerazione urbana complementari, che utilizzano la monumentalità per ridare vitalità a spazi pubblici, migliorando la vivibilità e rafforzando l’identità culturale urbana. Parigi, con i Grands Projets, mentre Barcellona, attraverso interventi mirati.

L’opera di Miralles e Pinós a Barcellona è particolarmente significativo di questo periodo. Con il Cimitero di Igualada, gli architetti riescono a unire materiali industriali con un’estetica che celebra il paesaggio e il tempo, stabilendo un equilibrio tra modernità e poesia. Questa ricerca di una connessione emotiva con l’ambiente e con la funzione dell’edificio è in contrasto con la rigida funzionalità dell’architettura moderna, cerca una riflessione più profonda sul rapporto tra costruito e natura.

Passando alle innovazioni ecologiche di Biosphere 2, si vede una sperimentazione che cerca di rispondere alle questioni ambientali. Non è solo un progetto di architettura, ma un’esperienza immersiva di auto-sufficienza, dove l’architettura diventa un sistema vivente in grado di auto-rigenerarsi. Questo progetto allude al futuro, suggerendo un possibile orientamento per l’architettura del domani, più consapevole delle interazioni tra gli esseri umani e gli ecosistemi.

Calatrava e Gehry, due figure importanti, portano avanti un’interpretazione fortemente artistica dell’architettura. Calatrava esplora il potenziale dell’ingegneria come scultura, mentre Gehry reinventa lo spazio urbano, introducendo movimenti e traiettorie che conferiscono alle sue opere una sensazione quasi teatrale. Gehry, in particolare con il Guggenheim di Bilbao, anticipa il concetto di architettura come catalizzatore di trasformazioni urbane, andando oltre la funzione.

Nell'architettura tradizionale, tutti gli elementi di un edificio servono a uno scopo ben preciso e unitario. Invece, il concetto di "spazio sistema" di Gehry propone una visione più flessibile, in cui ogni elemento può esistere e funzionare indipendentemente dagli altri. È un’architettura capace di adattarsi e cambiare, utilizzando tecnologie moderne. Non è più rigida, ma libera di evolversi, più dinamica e "interattiva".

Questo testo mostra come l’architettura sia in continua trasformazione: dalle forme monumentali alla sostenibilità, dalla rigidità alla dinamicità, dall’isolamento alla connessione. Ogni progetto citato riflette un aspetto di questa ricerca moderna, dove le città diventano più a misura d’uomo, gli edifici più poetici e la progettazione più attenta. È un percorso di innovazione che cambia il nostro modo di vivere e di percepire lo spazio.

BANG!

SCACCHIERA




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